Il ballerino dei sogni
Per la maggior parte della mia vita, mio zio non è stato altro che un uomo ritratto nei nostri album di famiglia.
C'era.
Un Natale, una Pasqua, le lunghe giornate d’estate al paese e i giochi in primavera in piazza.
Ho pochi ricordi d'infanzia con lui, li ho cancellati perché mi faceva paura.
Ma, ne ho molti da adulta.
In uno, ridiamo insieme mentre io faccio le boccacce, in un altro giochiamo con dei pompelmi giganti e lui ride, in altri ancora ascoltiamo le musicassette insieme o guardiamo fuori dalla finestra seduti di fronte.
In un altro ancora, rivedo quel paio di scarpe, fatte indossare per la prima volta sui suoi piedi non abituati, erano eleganti.
Nei miei occhi lui ride ancora, nelle mie orecchie lui ride sempre, nei miei momenti bui, lui balla.
Mio zio passava le giornate seduto; di solito dietro una finestra, una portafinestra, una porta, per molti anni questa dava su una piazza, su un albergo, sui concerti, sui saggi di danza, sul vai e vieni della vita e delle stagioni.
Guardava la vita fuori, da dentro.
Mi sono spesso chiesta, quel dentro cosa fosse.
Ho sempre pensato che, a modo suo, avesse un animo da artista. Il suo passatempo preferito era sminuzzare carte, di tutti i colori.
Sembrava quasi poi volesse unirle tutte per farci una installazione di arte contemporanea o lanciarle così tanto in aria che il mondo, per forza, doveva diventare a colori.
E così ho immaginato che su quella finestra si potessero materializzare, delle nuvole colorate, delle barche, le note della musica che lui tanto amava e perchè no, anche le navicelle spaziali, per fare dei viaggi sensazionali.
Amava la musica, la sentiva forte e ballava su se stesso quando gliela cantavamo.
Rideva forte mio zio.
La notte non era mai buio, il volo dei cuscini scandiva i minuti, le risate, l’aria viziata dal chiuso e dal respiro.
Ho detto addio a mio zio, tardi, ero lontana.
Spesso mi sono chiesta cosa avrebbe voluto vedere fuori dalla finestra.
Lo faccio ancora.